di Settimo Termini
Nell’articolo di Ciro Ciliberto “La matematica nella ‘Lettera a una professoressa’” viene affrontato un tema che è utile discutere oggi per i problemi di oggi. Il fatto che la Lettera degli allievi di don Milani – apparsa più di 50 anni fa – abbia sempre creato ampie (e, spesso, aspre) discussioni e non solo alla sua uscita, ma anche alla scadenza di vari decennali, mostra che essa ha toccato temi cruciali e fortemente sentiti al punto da creare inconciliabili polarizzazioni. Ma queste hanno riguardato la visione sociale e politica, mai – a mia conoscenza – il tema affrontato nell’articolo qui discusso.
Come affermato esplicitamente dall’autore lo scopo principale del lavoro è quello di mettere in evidenza questo punto: ”il ruolo che la matematica svolge nel contesto del progetto formativo di Don Milani è nullo”. Quando si parla di matematica nella “Lettera a una professoressa” è solo in senso negativo, come di uno strumento di oppressione più che di formazione.
L’autore argomenta su questa tesi mostrandone l’infondatezza, confrontando queste considerazioni con il lavoro svolto negli stessi anni da Emma Castelnuovo e accennando ad alcuni punti che potrebbero spiegare l’incomprensione del ruolo formativo della matematica da parte di Don Milani.
L’autore dichiara di condividere pienamente il progetto complessivo di Don Milani della formazione delle classi svantaggiate per cui la sua incomprensione del ruolo formativo della matematica risulta ancora più deleteria.
L’articolo è molto interessante non solo perché mette in evidenza un aspetto mai preso in considerazione ma anche perché permette di riflettere su aspetti collegati che sono anche utili oggi. Due punti che io reputo importanti sono i seguenti:
1) Il fatto che le osservazioni critiche di don Milani fossero basate anche sull’eco della posizione idealista che svalutava scienza e matematica.
2) La sua (di don Milani) più che evidente ignoranza di cosa scienza e matematica fossero.
Un corollario (negativo) ovvio è che le persone da lui (don Milani) formate anche “da grandi” avrebbero avuto – con probabilità alta – un atteggiamento simile nei confronti della scienza. Una conseguenza ancora più negativa è che simile atteggiamento potrebbe essere usato per demolire tutta l’impostazione e l’opera di don Milani. Cosa che nell’articolo non è fatto (c’è anzi un invito esplicito a non fare, distinguendo in vari punti tra i due aspetti) ma che da altri potrebbe essere fatta. Se ciò, finora, non è successo è forse perché anche i suoi oppositori radicali non hanno colto questa pecca non capendo anche loro (come don Milani) cosa la scienza e la matematica siano e rappresentino.
Le lezioni da trarre per l’oggi (nonché per i nostri discorsi sul passato) sono molte. I danni che una formazione unilaterale può provocare sono enormi per qualsiasi progetto, inficiando anche gli aspetti più innovativi. Bene avrebbe fatto don Milani a non parlare proprio di matematica, visto che non sapeva cosa realmente la matematica fosse e visto che ciò che lui criticava era la didattica (sbagliata) di una sua parte piccolissima. Come dovrebbe impostarsi oggi una didattica “alla don Milani” che tenga conto di tutto questo e si rivolga alla composizione sociale di oggi? Ciro ne dà implicitamente qualche indicazione parlando di Emma Castelnuovo. Ma questo ovviamente è solo un (ottimo) punto di partenza non quello di arrivo. Per presentare un progetto complessivo occorrerebbe tanto lavoro.